Autore : Daphne Du Maurier
Anno: 1936
Letto da : Arthur Gordon Pym
Quando : Bucerias, Maggio 2019
Voto : 8+
Commento :
Daphne Du Maurier è una delle mie scrittrici preferite, giacchè scrive storie avventurose con un tocco inquietante, ambientate nelle brughiere della Cornovaglia, la sua terra.
Jamaica Inn mi è piaciuto fin dalla prima riga: "Era una giornata fredda e grigia sul finire di Novembre", perchè ci introduce subito nell'atmosfera buia, piovosa e desolata della brughiera.
Questo romanzo è un gustoso incrocio tra la prima parte dell'Isola del Tesoro (troviamo quasi la stessa sinistra locanda con ancora più loschi figuri immischiati in sordidi traffici) e i libri delle Bronte, un po' per l'ambientazione, un po' per avere come protagonista una eroina non convenzionale che si ritrova invischiata in guai interminabili.
La protagonista del libro è Mary Yellan, una giovane orfana che si ritrova catapultata dal mondo sicuro e tranquillo della sua fattoria al famigerato Jamaica Inn, una locanda maledetta gestita da suo zio.
Ma Mary non è la classica eroina in pericolo che deve essere salvata, bensì una sorta di Tom Sawyer in gonnella che per spirito di avventura riesce a infilarsi sempre nei pasticci.
La sua figura infatti è l'antitesi della fanciulla in pericolo; anzi, viene descritta come un maschiaccio, impiccione, cocciuta e coraggiosa, dagli stessi personaggi del libro, che per tutta la storia le dicono che "si comporta come un uomo", "maledicendo la debolezza delle donne", "peccato che non sei un uomo!", "saresti stato un ottimo compagno".
Al bando i conformismi, sembra suggerirci la Du Maurier: le protagoniste dei suoi libri sono sempre doppie e pieni di inquietudini (Rebecca; Rachele, etc.) mentre Mary è più semplice, nella sua figura di ragazza coraggiosa che non si rassegna alla parte da donnicciola comprimaria, bensì è ribelle e attratta dai cattivi ragazzi.
Abbiamo Mary da un lato, che cerca di distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato nel mondo di contrabbandieri in cui è capitata, e dall'altro la marmaglia del Jamaica Inn, un branco di tagliagole che vengono descritti con una certa simpatia e approvazione, quasi che fossero una ciurma pirata da parco attrazioni, cattivi solo perchè recitano quella parte.
Attenzione, perchè forse i buoni non sono proprio buoni e i cattivi non sono del tutto cattivi. La Du Maurier infatti insinua nel libro un personaggio latente e insospettabile che rappresenta un male più antico, appena accennato, ma che pervade tutto il libro, ancora più terribile poichè non spiegato, impalpabile, e strettamente collegato al paesaggio.
Ed è proprio il paesaggio, secondo me, o meglio lo scenario, il vero protagonista del libro: prima di tutto la locanda, che sembra la classica casa dell'orrore, con i muri umidi che trasudano segreti antichi e sepolti, quasi una casa che respira.
E poi la brughiera, che come in tutti i libri della Du Maurier non è solo contorno ma è descritta come una entità viva, pericolosa, infida, dove basta un passo falso per scivolare nelle melmose paludi e restarvi per sempre, diventando parte degli spiriti antichi che la costituiscono.
Il libro è pervaso da molta azione e colpi di scena nella parte più piratesca, di avventura sguaiata; ma viene inframmezzato dalle scene più misteriose e introspettive della brughiera, il luogo/personaggio dove ci si perde ma si fanno anche incontri risolutivi.
Il plot twist è degno di Hitchcock, un colpo da maestro davvero agghiacciante, che tinge per un attimo tutta l'avventura di un orrore inspiegabile, come la forza antica che si annida nel terreno scuro di torba, nelle piante fradice di pioggia, nelle rocce scivolose.
Bravissima la Du Maurier che si attiene alla regola del non detto: le cose più terrificanti sono quelle appena accennate.
In conclusione, un libro avventuroso, ottima trama, ambientazione e colpi di scena. Bello!